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E tu che ne pensi del colore nero?

Caro Theo,
ho letto con molto piacere la tua lettera sul nero e mi sono convinto che non hai pregiudizi sul nero.
La tua descrizione di quello studio di Manet Le toréador mort era un'ottima analisi. L'intera lettera dimostra la stessa cosa che mi era stata suggerita dal tuo schizzo di Parigi, vale a dire che se tu ti ci mettessi, sapresti dipingere benissimo le cose a parole. In effetti, con lo studio delle leggi dei colori si può passare da una fede istintiva nei grandi maestri all'analisi del motivo per cui si ammira quel che si ammira, e ciò davvero è necessario al giorno d'oggi, quando ci si rende conto con quanto arbitrio e quanto superficialmente la gente critichi.
Devi lasciarmi mantenere il mio pessimismo sul mercato di cose d'arte di oggi, benché non sia scoraggiato su tutto. Io ragiono così. Supponiamo che io abbia ragione nel considerare che questo strano contrattare sui prezzi vada avvicinandosi sempre più al mercato dei bulbi. Ti ripeto, supponiamo che, come accadde al mercato dei bulbi alla fine del secolo scorso, il mercato di cose d'arte, assieme ad altri campi di speculazione, debba scomparire alla fine di questo secolo proprio come è sorto, vale a dire quasi di colpo. Ora, può scomparire il mercato dei bulbi, ma la floricultura resta. Per quanto mi riguarda, sono ben felice, nella buona e nella cattiva sorte, di restare un piccolo giardiniere che ama le sue piante.
Proprio ora la mia tavolozza si sta sgelando e l'aridità degli inizi è scomparsa.
È vero, faccio spesso degli sbagli quando mi metto a fare qualcosa, ma i colori seguono spontaneamente, e prendendo un colore come punto di partenza ho chiaro in mente quel che deve tenergli dietro e come ottenere una certa vitalità.
Jules Dupré assomiglia piuttosto a Delacroix nei paesaggi, perché quale mai gran varietà di stati d'animo non esprime nelle sue sinfonie di colore...

Ora una marina, con i verde-azzurri più delicati, con l’azzurro spezzato e ogni sorta di tonalità perlacee; poi di nuovo un paesaggio autunnale, col fogliame che va dal rosso vino scuro al verde brillante, dall'arancione vivo al color tabacco, e altri colori ancora nel cielo, grigi, lilla, blu, bianchi, contrastanti con le foglie gialle.
E poi ancora un tramonto in nero, viola, rosso fuoco.
Ancor più meraviglioso, ho visto una volta un suo angolo di giardino, che non ho mai dimenticato: nero nelle ombre, bianco al sole, verde brillante, inoltre un rosso fuoco e azzurro scuro, un verde marrone bitumoso e un giallo-marrone chiaro. Davvero erano colori che avevano un valore.
Mi è sempre molto piaciuto Jules Dupré e sarà sempre più apprezzato con l’andar del tempo. Perché è un vero colorista, sempre interessante, di estrema potenza e drammaticità.
Si è davvero fratello di Delacroix.
Come ti dissi, penso che la tua lettera sul nero sia molto buona, e anche quel che dici sul dipingere il colore locale è esatto. Non mi soddisfa però. A parer mio c'è molto di più nel non dipingere il colore locale.
"Les vrais peintres sont ceux qui ne font pas la couleur locale" - è di ciò che discussero una volta Blanc e Delacroix.
Non potrei forse dedurre che è meglio per un pittore iniziare dai colori della sua tavolozza che dai colori della natura? Voglio dire, quando ad esempio si vuole dipingere una testa e si osserva attentamente la realtà che si ha di fronte, si può pensare: "Quella testa è un'armonia di marrone rossastro, di viola, di giallo, tutti spezzati -metterò sulla mia tavolozza un viola, un giallo e un marrone rossastro e questi si spezzeranno a vicenda".
Della natura conserverò una certa sequenza e una certa esattezza nel disporre i toni, e studio la natura in modo da non fare sciocchezze e restare nei limiti del ragionevole; tuttavia, non mi importa che il mio colore sia proprio lo stesso, purché sia bello sulla tela, tanto bello quanto in natura
Un ritratto di Courbet è molto più vero -virile, libero, dipinto con ogni sorta di bei toni di marrone rossastro, di oro, di viola più freddo nelle ombre, con del nero come repoussoir, con un pezzetto di biancheria, per riposare l'occhio- migliore di qualsiasi ritratto di chiunque altro abbia imitato il colore del volto con una precisione orribile.
Una testa virile o femminile, osservata bene e con calma, è divinamente bella, non è vero? Ebbene, si perde l'armonia generale dei toni della natura con un'imitazione penosamente esatta; mentre la si mantiene ricreando una gamma cromatica parallela che può non essere precisamente quella del modello, o addirittura ben diversa.
Bisogna fare sempre uso intelligentemente dei bellissimi toni che i colori creano di loro propria iniziativa quando li si spezza sulla tavolozza, ti ripeto -bisogna iniziare dalla propria tavolozza, dalla conoscenza che si ha dell'armonia dei colori, il che è ben altra cosa del seguire servilmente e meccanicamente la natura.
Eccoti un altro esempio: supponiamo che io dipinga un paesaggio autunnale, degli alberi con delle foglie gialle. Va bene -una volta che io l'abbia concepito come una sinfonia di giallo, che importa se il giallo è lo stesso di quelle foglie o meno? È cosa di ben poca importanza.
Molto, tutto direi, dipende dalla mia capacità di percepire le infinite varianti della tonalità di una stessa famiglia di colori.
Forse che questa tu la chiami una tendenza pericolosa verso il romanticismo, una mancanza di fedeltà al "realismo", un peindre de chic, un dare maggior valore alla tavolozza del colorista che alla natura? Beh, que soit. Delacroix, Millet, Corot, Dupré, Daubigny, Breton e altri quaranta nomi, non sono forse essi il cuore e l'anima della pittura di questo secolo e non sono forse tutti radicati nel romanticismo anche se lo hanno superato?
Il romanticismo fa parte del nostro tempo e i pittori devono pure avere immaginazione e sentimento. Per fortuna il realismo e il naturalismo non ne sono indenni. Zola crea, non pone uno specchio davanti alle cose, crea magnificamente, ma crea, infonde poesia, ed è per questo che è tanto bello. Questo è quanto ti dico del naturalismo e del realismo, che restano legati al romanticismo.
Ti ripeto, mi commuovo quando vedo un quadro dell'epoca che va dal 1830 al 1848, un Paul Huet, un Israëls vecchia maniera come Il pescatore di Zandvoort, un Cabat, un Isabey.`
Trovo però tanta verità in quel motto "Ne pas peindre le ton local", che preferisco di gran lunga un dipinto eseguito su una scala cromatica molto più bassa della natura ad un quadro identico alla natura.
Preferisco un acquerello impreciso, non finito, piuttosto che uno trattato in modo da simulare la realtà.
Quel detto, "Ne pas peindre le ton local", ha un significato vasto, e dà al pittore la libera scelta dei colori affinché creino un insieme, armonizzino e spicchino di più in contrasto con un altro schema cromatico.
Che mi importa se il ritratto di un distinto cittadino mi dice esattamente qual era il colore insipido, bluastro come latte annacquato, del volto di quel pio individuo -che mai avrei guardato in faccia. I cittadini del paese dove il tizio di cui sopra si è reso tanto benemerito da sentirsi in dovere di lasciare la sua fisionomia ai posteri sono invece estremamente soddisfatti della precisione esatta
Il colore in sé non vuol dir nulla, non se ne può fare a meno, lo si deve impiegare; quel che è bello, realmente bello -è anche giusto: quando Veronese dipinse il ritratto del suo bel mondo nelle Nozze di Cana spese tutta la ricchezza della sua tavolozza in viola scuri, in meravigliosi toni dorati. Poi -pensò anche a un lieve azzurrino e a un bianco perlaceo -che non compaiono nel primo piano. Egli li profonde nello sfondo -ed era giusto farlo, perché si trasfonde nell'atmosfera che circonda i palazzi marmorei nel cielo, completando in modo caratteristico il gruppo delle figure.
Quello sfondo è tanto bello che deve essere sorto spontaneamente da un calcolo di colori.
Sbaglio forse?
Non è forse dipinto diversamente da come sarebbe se si fosse pensato contemporaneamente al palazzo e alle figure come a un insieme?
Tutta quella architettura e il cielo sono convenzionali, dipendono dalle figure, sono calcolati per far spiccare magnificamente le figure.
È quella davvero la vera pittura e il risultato è più bello dell'esatta imitazione delle cose. Pensare a una cosa e far sì che l'ambiente appartenga ad essa e da essa derivi.

Ti scriverò di nuovo presto e questa lettera te la mando di fretta per dirti che mi ha fatto piacere quel che mi dici del nero.

Addio
sempre tuo, Vincent
[Neunen, fine di ottobre 1885]

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1 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella esposizione virtuale delle lettere di Van Gogh
http://www.webexhibits.org/vangogh/
(non so se lo conosci o ne hai già parlato qui, riassunto esplicativo su http://www.scritturadigitale.net/?p=348 di Mario Rotta)
Ciao :)

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