Ragazzi, mi è stato segnalato da un mio amico ( Grazie Giacomino!!! ) il link del Tour virtuale del Museo di Van Gogh ad Amsterdam...
Ve lo riporto di seguito:
E per chi non può andare ad Amsterdam...
Le nuove verità.
Ho trovato un articolo di giornale in cui si spiega, secondo il parere della giornalista, come Vincent sia arrivato a tagliarsi l'orecchio e perchè.
Un quadro, una lettera, un indizio
Risolto il mistero dell’orecchio di Van Gogh
Per avvalorare ulteriormente la sua tesi, lo studioso Bailey ha raccontato di aver studiato per mesi le lettere inviate da Theo Van Gogh alla madre ed alla fidanzata Johanna Bonger. In molte di queste, Theo racconta di come il fratello avesse preso male la notizia del suo fidanzamento, tanto da dirgli che aveva sbagliato a porre il matrimonio come obiettivo principe della sua vita. Questa teoria, così puntualmente ricostruita da Bailey, contrasterebbe con l’ultima delle ipotesi prese in considerazione in questi anni sul mistero del leggendario taglio. Rita Wildegans, storica dell’arte ad Amburgo, dopo anni di ricerche, nel 2001 arrivò a sostenere che fu il pittore francese Paul Gauguin, in preda ai fumi dell’assenzio, a mutilare Van Gogh con un colpo solo, con la sua nota destrezza di spadaccino. Ma partiamo dal principio. Poco dopo il suo trasferimento nella cittadina di Arles nel dicembre del 1888, Van Gogh accolse nel suo appartamento ed ospitò per qualche tempo l’amico Paul Gauguin, con il quale condivideva una vita fatta di arte, ma anche di pochi soldi e, soprattutto nel caso di Vincent, di profonda depressione. Pare che insieme trascorressero intere notti tra bevute e bordelli e che avessero in comune la passione per una prostituta di nome Rachel. Probabilmente fu proprio per contendersi questa preferita che, i due, arrivarono alle mani la notte di Natale in un momento di poca lucidità di entrambi. Litigarono in strada, poi nell’appartamento. Il mattino dopo la polizia trovò Van Gogh svenuto a casa in una pozza di sangue. Gauguin se era già andato. Non si è mai saputo se fu il pittore francese a colpirlo o se fu lo stesso Van Gogh a recidersi un orecchio di sua mano per impressionare il rivale. In ogni caso la nuova verità messa in luce dal Bailey, scagionerebbe il pittore Gauguin, colpevole, a questo punto, solo di non aver sopportato oltre gli squilibri mentali dell’amico e di averlo abbandonato a sé stesso. Proprio quello che Van Gogh temeva di più. Di essere lasciato solo. Dalla prostituta Rachel, dall’ amico Gauguin, dal fratello Theo. Una paura che trovò sollievo solo con un colpo di pistola nel luglio1890. E che pose fine ad una vita di geniale e straordinaria solitudine.
The Van Gogh Museum.
Ebbene si, ad Amsterdam c'è un museo dedicato tutto a Van Gogh. E' il mio sogno andarci, davvero. E ci arriverò prima o poi!
Via, un pò di parte architettonica:
La rivoluzione dello sguardo.
I capolavori di questi ed altri artisti sono presenti nella mostra del Mart: un’occasione unica per conoscere da vicino, attraverso opere esemplari, il più entusiasmante periodo della ricerca pittorica tra Ottocento e Novecento.
La rivoluzione dello sguardo. Capolavori impressionisti e post-impressionisti dal Musée d’Orsay", è stata resa possibile grazie all’accordo di collaborazione tra il Mart e il museo francese, che in fase di restauro (riapertura prevista per l’autunno 2011) ha concesso per la prima volta un nucleo così rilevante di opere in prestito per una itineranza di sole tre tappe, che ha toccato Australia, America e ora, unica sede il Mart, l’Italia.
Il progetto presenta un’eccezionale selezione di dipinti, dalla grande stagione dell’Impressionismo alla vigilia delle avanguardie: lo scandaloso realismo di Gustave Courbet nella celeberrima tela
esposta per la prima volta nel nostro Paese; la nuova visione temporale che Claude Monet introduce nella serie di dipinti dedicati alla "Cattedrale di Rouen" (1892), della quale il Mart ospita una tra le più intense versioni; la straziante solitudine di Van Gogh e della sua "Chambre ad Arles" (1889);
l’esotismo di Paul Gauguin con le "Donne di Tahiti" (1891); e poi, lo sguardo di Degas sulla danza e
Maurice Denis (1870-1943) Omaggio a Cézanne1900 Olio su tela cm 180 x 240 Parigi, Museo d'Orsay Donazione André Gide, 1928
testimonianza di una fedeltà all’artista da molti considerato il più importante di quell’epoca.
Questi sono solo alcuni degli straordinari capolavori presenti nella mostra, che segue un percorso tematico, attraverso appunto quella “rivoluzione dello sguardo”, che gli artisti impressionisti e post-impressionisti tra Ottocento e Novecento hanno aperto alla visione della modernità.
L’esposizione La rivoluzione dello sguardo. Capolavori impressionisti e post-impressionisti dal Musée d’Orsay, ideata e curata da Guy Cogeval, presidente del Musée d’Orsay, e Isabelle Cahn, con la direzione scientifica di Gabriella Belli, direttore del Mart, propone dunque una rilettura di quel cruciale passaggio che ha preparato il terreno alle avanguardie artistiche europee del primo Novecento.
Fonte
Notte Stellata
Leviamoci questo dente via. Stando alle vostre risposte al sondaggio, parlerò della Notte Stellata. Non è detto che poi abbandoni gli altri quadri eh :D è il mio blog e comando io :D :D :D " e qui comando ioooo... e questa è casa miaaaaa " okei mi cheto.
La Notte stellata è un dipinto ad olio su tela di cm 73 x 92 realizzato nel 1889 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Museum of Modern Art di New York e rappresenta un paesaggio stellato sopra la città di Saint-Rémy-de-Provence in Francia.
Sulla data esatta dell'esecuzione di quest'opera, la maggior parte degli esperti sono concordi nel sostenere che sia stata dipinta poco prima dell'alba del 19 giugno 1889, ma su tale data non mancano le controversie. L'artista, infatti, fa esplicito riferimento all'opera Notte stellata in una lettera risalente al 2 giugno (Lettera n. 593) e l'esistenza di due lettere successive, (lettere n. 594 e n. 595 rispettivamente del 9 giugno e del 19 giugno 1889), ci porta a quasi un mese prima del 19 giugno 1889.
« […] Questa mattina dalla mia finestra ho guardato a lungo la campagna prima del sorgere del Sole, e non c'era che la stella del mattino, che sembrava molto grande. Daubigny e Rousseau hanno già dipinto questo, esprimendo tutta l'intimità, tutta la pace e la maestà e in più aggiungendovi un sentimento così accorato, così personale. Non mi dispiacciono queste emozioni. […] Credo che faresti bene a lavare quelle tele che sono ben asciutte con acqua e un po' di alcool etilico per togliere il grasso e l'essenza della pasta. Così anche per il Caffè di notte, il Vigneto verde, e soprattutto per il paesaggio che era nella cornice in noce, Anche per la Notte (ma lì ci sono ritocchi recenti, che con l'alcool etilico potrebbero spandere). […] Per quanto riguarda la mostra degli indipendenti, mi è assolutamente indifferente, fa' come se non ci fossi. Per non rimanere assente e per non esporre qualcosa di troppo pazzo, forse potresti mandare Notte stellata e il paesaggio verde-giallo, che era nella cornice di noce. Poiché sono due quadri di colori contrastanti, forse riusciranno a dare agli altri lo spunto per ottenere effetti notturni migliori. […] » | |
Il riferimento al 19 giugno è basato su un breve accenno nella lettera n. 595 in cui l'artista afferma:
« […] Infine ho uno paesaggio con gli ulivi e anche uno studio di un cielo stellato. […] » | |
E’ interessante notare che ben poco si conosce dei sentimenti che van Gogh stesso nutriva per il suo quadro. Ciò e dovuto principalmente al fatto che egli lo menziona solo due volte nelle lettere al fratello Theo, e sempre di sfuggita. Anche questo concorre a creare una sorta di alone di mistero sull’opera, di certo tra le più frequentemente discusse per quanto riguarda il suo significato e la sua importanza.
“Spesso penso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno”, scrive Vincent in una lettera al fratello. Nell’opera egli cerca di rappresentare quella vita, quell’angosciosa vita, che attribuisce alla notte.
Soggetto della raffigurazione è il paesaggio di un borgo, di notte e con dei colli sullo sfondo. E’ importante notare il campanile della chiesa, che è tipico dell’Olanda, nazione natale dell’artista. In effetti, diversamente da molte altre delle opere di Van Gogh, Notte Stellata fu dipinta a memoria e non en plein air come egli era solito fare. Questo può forse spiegare, in parte, perché l’impatto emotivo dell’opera sia assai più forte che in altre opere di van Gogh dello stesso periodo.
La composizione del quadro è semplice: il cielo notturno occupa circa due terzi dello spazio della tela, mentre il terzo rimanente è occupato dal borgo e dalle colline ad esso retrostanti. Vi è un forte contrasto tra il caos del cielo e il tranquillo ordine del villaggio. Il cipresso a sinistra crea un fiammeggiante collegamento tra terra e cielo.
Scrisse van Gogh: “…guardare il cielo mi fa sempre sognare… Perché, mi chiedo, i punti scintillanti del cielo non sono accessibili come in puntini neri sulla cartina della Francia? Proprio come prendiamo il treno per andare a Tarascon o a Rouen, così prendiamo la morte per raggiungere una stella.” Dall’opera, tuttavia, non traspare la quieta rassegnazione di queste parole.
Dal punto di vista della tecnica egli usa colori puri, violenti, contrastanti tra loro, privi di gradazioni sfumate e passaggi tonali. Scie vorticose dilatano astri giganteschi e si inseguono entro cieli dal blu intenso; la notte di van Gogh è schiarita da bagliori argentei che sembrano tratteggiare le segrete geometrie dell’universo. Una magica energia sospinge il movimento delle stelle. I colori chiari sono rafforzati dall’accostamento di pennellate che vanno dall’azzurro al violetto, al blu più intenso. Con tratti precisi di color giallo, arancio e bianco, van Gogh rende l’intensa luminosità di questo notturno. Le pennellate seguono con insistenza i contorni delle figure, dilatandoli a dismisura. Tra i vortici terrorizzanti del cielo notturno, solo gli astri si presentano come punti fermi e, dunque, come elementi attorno ai quali possono gravitare il colore ed il pensiero.
Curiosando, curiosando...
In attesa di avere altre risposte al sondaggio che vi ho posto nel post precedente , vi porto a conoscenza di alcune curiosità riguardanti la vita di Vincent.
Ma se si facesse un sondaggino?
Ragazzi,lettori, gente che passa per caso di qua, curiosoni, guardoni, insomma tu!
Ho promesso che avrei parlato solo del lato nascosto di Vincent, però la voglia di analizzare, no anzi descrivere ( è più adatto.. non voglio stancare con termini pignoli e altisonanti ) qualche opera mi sta tormentando.. :D
Quindi chiedo a voi... Quale opera scegliereste? ( non è detto che vi ascolti eh ... )
1. Notte Stellata
Ciak, si gira!
Visto che ho fatto tutto un post su Vincent in musica, direi adesso che posso iniziare a parlare dei film che narrano la vita del pittore. Il primo di cui voglio parlare è " Brama di vivere ".
Viene così indirizzato da uno zio pittore che vive a L'Aia, Anton Mauve, il quale gli fornisce i primi colori e consigli tecnici. Vincent si getta nel lavoro con entusiasmo, producendo soprattutto disegni, e conosce anche le prime sofferenze amorose, innamorandosi della cugina Kee la quale lo respinge disgustata, nonostante egli si bruci la mano destra pur di vederla.
Ferito, Vincent si ferma in una taverna dove conosce Christine, una lavandaia/prostituta emarginata, alcolizzata e già madre di un bambino, che accetta di diventare la sua compagna e modella. Per breve tempo Vincent sogna di costruire una sua famiglia, ma le difficoltà economiche (non riesce a vendere niente) e la rottura con Mauve lo portano ad abbandonare Christine e a raggiungere la famiglia nel paesino di Nuenen, dove il padre predica.
A Nuenen Vincent prosegue nella propria attività, ritraendo soprattutto volti di contadini locali; ma il suo stile di vita e le sue abitudini (veste trasandato "come una bestia" e non rispetta gli orari) gli attirano ben presto il risentimento dei suoi -del padre in particolare- costringendolo quindi ad una nuova partenza, stavolta per Parigi, dove già vive e lavora suo fratello Theo, dal quale in poi verrà finanziato.
A Parigi scopre i musei, e visita le mostre d'arte contemporanea: guardando i pittori impressionisti prova grande ammirazione ma, secondo il suo parere, non riesce ad eguagliarli. Nonostante tutto continua a lavorare, e successivamente incontra, grazie al fratello (col quale la convivenza è durissima a causa dei caratteri opposti), i maestri dell'avanguardia pittorica: Pissarro, Seurat, Bernard...ma soprattutto Gauguin, col quale stringe subito amicizia e che lo convince a trasferirsi al sud per avere più luce nelle sue tele.
Vincent così si reca ad Arles, nel sud della Francia, dove dipinge sino allo stremo, arrivando a rimanere anche senza cibo e senza un tetto: viene sfrattato, e solo grazie all'interessamento del postino Roulin riesce a trovare a poco prezzo un nuovo alloggio più spazioso. Anche in questo periodo il fratello Theo lo sovvenziona, in quanto Vincent non riesce a vendere i suoi quadri. Dopo alcuni mesi Paul Gauguin raggiunge Van Gogh, dopo il soggiorno in Bretagna, ma la convivenza è oltremodo difficile, soprattutto a causa della diversità di vedute su arte e artisti e sugli stili di vita differenti. Dopo l'ennesimo litigio e le minacce di Van Gogh, Gauguin se ne va. Vincent, addolorato e di nuovo solo, in preda al dolore si recide l'orecchio sinistro e viene ricoverato in manicomio.
Qui continua a dipingere, sia nell'ospedale che all'esterno accompagnato da un infermiere, ma è ancora insoddisfatto dei propri lavori. Nel frattempo, la critica sembra accorgersi di lui, e Theo (che intanto si è sposato e ha avuto un figlio) conosce un medico, il dottor Gachet, che potrebbe riuscire a curare il fratello.
Vincent dunque lascia il manicomio, e dopo una breve sosta a Parigi raggiunge il paesino di Auvers-sur-Oise dove vive il medico. Dopo un primo dialolgo edificante con lui, Van Gogh confida a Theo che nemmeno Gachet potrà alleviargli la malinconia. Nonostante tutto, egli continua a lavorare selvaggiamente, producendo una tela al giorno se non due. Ma in preda all'ennesima crisi nervosa, si spara mentre dipinge un campo di grano sorvolato da corvi minacciosi. Morirà due giorni dopo nel proprio letto e con la pipa in bocca, assistito dal disperato Theo.
Riconoscimenti : Il film ha ricevuto quattro nomination ai Premi Oscar 1957, vincendo il premio per il miglior attore non protagonista con Anthony Quinn. Il protagonista Kirk Douglas, candidato a sua volta ma sconfitto da Yul Brynner, ha vinto invece il Golden Globe per il miglior attore in un film drammatico.
Nel 1956 il National Board of Review of Motion Pictures l'ha inserito nella lista dei migliori dieci film dell'anno.
E tu che ne pensi del colore nero?
ho letto con molto piacere la tua lettera sul nero e mi sono convinto che non hai pregiudizi sul nero.
La tua descrizione di quello studio di Manet Le toréador mort era un'ottima analisi. L'intera lettera dimostra la stessa cosa che mi era stata suggerita dal tuo schizzo di Parigi, vale a dire che se tu ti ci mettessi, sapresti dipingere benissimo le cose a parole. In effetti, con lo studio delle leggi dei colori si può passare da una fede istintiva nei grandi maestri all'analisi del motivo per cui si ammira quel che si ammira, e ciò davvero è necessario al giorno d'oggi, quando ci si rende conto con quanto arbitrio e quanto superficialmente la gente critichi.
Devi lasciarmi mantenere il mio pessimismo sul mercato di cose d'arte di oggi, benché non sia scoraggiato su tutto. Io ragiono così. Supponiamo che io abbia ragione nel considerare che questo strano contrattare sui prezzi vada avvicinandosi sempre più al mercato dei bulbi. Ti ripeto, supponiamo che, come accadde al mercato dei bulbi alla fine del secolo scorso, il mercato di cose d'arte, assieme ad altri campi di speculazione, debba scomparire alla fine di questo secolo proprio come è sorto, vale a dire quasi di colpo. Ora, può scomparire il mercato dei bulbi, ma la floricultura resta. Per quanto mi riguarda, sono ben felice, nella buona e nella cattiva sorte, di restare un piccolo giardiniere che ama le sue piante.
Proprio ora la mia tavolozza si sta sgelando e l'aridità degli inizi è scomparsa.
È vero, faccio spesso degli sbagli quando mi metto a fare qualcosa, ma i colori seguono spontaneamente, e prendendo un colore come punto di partenza ho chiaro in mente quel che deve tenergli dietro e come ottenere una certa vitalità.
Jules Dupré assomiglia piuttosto a Delacroix nei paesaggi, perché quale mai gran varietà di stati d'animo non esprime nelle sue sinfonie di colore...
Ora una marina, con i verde-azzurri più delicati, con l’azzurro spezzato e ogni sorta di tonalità perlacee; poi di nuovo un paesaggio autunnale, col fogliame che va dal rosso vino scuro al verde brillante, dall'arancione vivo al color tabacco, e altri colori ancora nel cielo, grigi, lilla, blu, bianchi, contrastanti con le foglie gialle.
E poi ancora un tramonto in nero, viola, rosso fuoco.
Ancor più meraviglioso, ho visto una volta un suo angolo di giardino, che non ho mai dimenticato: nero nelle ombre, bianco al sole, verde brillante, inoltre un rosso fuoco e azzurro scuro, un verde marrone bitumoso e un giallo-marrone chiaro. Davvero erano colori che avevano un valore.
Mi è sempre molto piaciuto Jules Dupré e sarà sempre più apprezzato con l’andar del tempo. Perché è un vero colorista, sempre interessante, di estrema potenza e drammaticità.
Si è davvero fratello di Delacroix.
Come ti dissi, penso che la tua lettera sul nero sia molto buona, e anche quel che dici sul dipingere il colore locale è esatto. Non mi soddisfa però. A parer mio c'è molto di più nel non dipingere il colore locale.
"Les vrais peintres sont ceux qui ne font pas la couleur locale" - è di ciò che discussero una volta Blanc e Delacroix.
Non potrei forse dedurre che è meglio per un pittore iniziare dai colori della sua tavolozza che dai colori della natura? Voglio dire, quando ad esempio si vuole dipingere una testa e si osserva attentamente la realtà che si ha di fronte, si può pensare: "Quella testa è un'armonia di marrone rossastro, di viola, di giallo, tutti spezzati -metterò sulla mia tavolozza un viola, un giallo e un marrone rossastro e questi si spezzeranno a vicenda".
Della natura conserverò una certa sequenza e una certa esattezza nel disporre i toni, e studio la natura in modo da non fare sciocchezze e restare nei limiti del ragionevole; tuttavia, non mi importa che il mio colore sia proprio lo stesso, purché sia bello sulla tela, tanto bello quanto in natura
Un ritratto di Courbet è molto più vero -virile, libero, dipinto con ogni sorta di bei toni di marrone rossastro, di oro, di viola più freddo nelle ombre, con del nero come repoussoir, con un pezzetto di biancheria, per riposare l'occhio- migliore di qualsiasi ritratto di chiunque altro abbia imitato il colore del volto con una precisione orribile.
Una testa virile o femminile, osservata bene e con calma, è divinamente bella, non è vero? Ebbene, si perde l'armonia generale dei toni della natura con un'imitazione penosamente esatta; mentre la si mantiene ricreando una gamma cromatica parallela che può non essere precisamente quella del modello, o addirittura ben diversa.
Bisogna fare sempre uso intelligentemente dei bellissimi toni che i colori creano di loro propria iniziativa quando li si spezza sulla tavolozza, ti ripeto -bisogna iniziare dalla propria tavolozza, dalla conoscenza che si ha dell'armonia dei colori, il che è ben altra cosa del seguire servilmente e meccanicamente la natura.
Eccoti un altro esempio: supponiamo che io dipinga un paesaggio autunnale, degli alberi con delle foglie gialle. Va bene -una volta che io l'abbia concepito come una sinfonia di giallo, che importa se il giallo è lo stesso di quelle foglie o meno? È cosa di ben poca importanza.
Molto, tutto direi, dipende dalla mia capacità di percepire le infinite varianti della tonalità di una stessa famiglia di colori.
Forse che questa tu la chiami una tendenza pericolosa verso il romanticismo, una mancanza di fedeltà al "realismo", un peindre de chic, un dare maggior valore alla tavolozza del colorista che alla natura? Beh, que soit. Delacroix, Millet, Corot, Dupré, Daubigny, Breton e altri quaranta nomi, non sono forse essi il cuore e l'anima della pittura di questo secolo e non sono forse tutti radicati nel romanticismo anche se lo hanno superato?
Il romanticismo fa parte del nostro tempo e i pittori devono pure avere immaginazione e sentimento. Per fortuna il realismo e il naturalismo non ne sono indenni. Zola crea, non pone uno specchio davanti alle cose, crea magnificamente, ma crea, infonde poesia, ed è per questo che è tanto bello. Questo è quanto ti dico del naturalismo e del realismo, che restano legati al romanticismo.
Ti ripeto, mi commuovo quando vedo un quadro dell'epoca che va dal 1830 al 1848, un Paul Huet, un Israëls vecchia maniera come Il pescatore di Zandvoort, un Cabat, un Isabey.`
Trovo però tanta verità in quel motto "Ne pas peindre le ton local", che preferisco di gran lunga un dipinto eseguito su una scala cromatica molto più bassa della natura ad un quadro identico alla natura.
Preferisco un acquerello impreciso, non finito, piuttosto che uno trattato in modo da simulare la realtà.
Quel detto, "Ne pas peindre le ton local", ha un significato vasto, e dà al pittore la libera scelta dei colori affinché creino un insieme, armonizzino e spicchino di più in contrasto con un altro schema cromatico.
Che mi importa se il ritratto di un distinto cittadino mi dice esattamente qual era il colore insipido, bluastro come latte annacquato, del volto di quel pio individuo -che mai avrei guardato in faccia. I cittadini del paese dove il tizio di cui sopra si è reso tanto benemerito da sentirsi in dovere di lasciare la sua fisionomia ai posteri sono invece estremamente soddisfatti della precisione esatta
Il colore in sé non vuol dir nulla, non se ne può fare a meno, lo si deve impiegare; quel che è bello, realmente bello -è anche giusto: quando Veronese dipinse il ritratto del suo bel mondo nelle Nozze di Cana spese tutta la ricchezza della sua tavolozza in viola scuri, in meravigliosi toni dorati. Poi -pensò anche a un lieve azzurrino e a un bianco perlaceo -che non compaiono nel primo piano. Egli li profonde nello sfondo -ed era giusto farlo, perché si trasfonde nell'atmosfera che circonda i palazzi marmorei nel cielo, completando in modo caratteristico il gruppo delle figure.
Quello sfondo è tanto bello che deve essere sorto spontaneamente da un calcolo di colori.
Sbaglio forse?
Non è forse dipinto diversamente da come sarebbe se si fosse pensato contemporaneamente al palazzo e alle figure come a un insieme?
Tutta quella architettura e il cielo sono convenzionali, dipendono dalle figure, sono calcolati per far spiccare magnificamente le figure.
È quella davvero la vera pittura e il risultato è più bello dell'esatta imitazione delle cose. Pensare a una cosa e far sì che l'ambiente appartenga ad essa e da essa derivi.
Ti scriverò di nuovo presto e questa lettera te la mando di fretta per dirti che mi ha fatto piacere quel che mi dici del nero.
Addio
sempre tuo, Vincent
[Neunen, fine di ottobre 1885]
Un viaggio tra le stelle.
Tratto da una lettera a Theo del 1888
Non mi dispiacciono queste emozioni. [...] Credo che faresti bene a lavare quelle tele che sono ben asciutte con acqua e un po' di alcool etilico per togliere il grasso e l'essenza della pasta. Così anche per il Caffè di notte, il Vigneto verde, e soprattutto per il paesaggio che era nella cornice in noce, Anche per la Notte (ma lì ci sono ritocchi recenti, che con l'alcool etilico potrebbero spandere). [...]
Per quanto riguarda la mostra degli indipendenti, mi è assolutamente indifferente, fa' come se non ci fossi. Per non rimanere assente e per non esporre qualcosa di troppo pazzo, forse potresti mandare Notte stellata e il paesaggio verde-giallo, che era nella cornice di noce. Poiché sono due quadri di colori contrastanti, forse riusciranno a dare agli altri lo spunto per ottenere effetti notturni migliori. [...]"
Lettera n. 593 a Theo (2 giugno 1889)
"[...] Infine ho uno paesaggio con gli ulivi e anche uno studio di un cielo stellato. [...]"
ma ci sembra poco per sostenere che quella notte abbia realizzato l'opera.
dell'ospedale Saint-Paul-de-Mausole
(Lettera 543)
(Lettera 553b)
Cipressi | |
“Si trattava del 13 luglio 1889, alle 21:08. Ne abbiamo le prove astronomiche”, affermano l’astronomo Donald Olson e i suoi colleghi. Questi hanno inoltre scoperto che, 114 anni dopo, in coincidenza con il 13 luglio 2003, la Luna piena offrirà il medesimo scenario immortalato dall'artista olandese.
Il luogo dove Van Gogh ha realizzato quest'opera è ancora Saint-Rémy-de-Provence, dove, nel giugno del 2002, il gruppo di ricercatori si è recato con appropriate strumentazioni per eseguire le ricerche, giungendo a stabilire due possibili datazioni: 16 maggio oppure 13 luglio 1889. Poiché il grano nel quadro era già dorato e raccolto, ne hanno dedotto che doveva trattarsi di luglio. Un'altra coincidenza importante, ma del tutto casuale, consiste nel fatto che nel 2003 ricada il 150esimo anniversario della nascita di Van Gogh. Casualità non di poco conto considerando che, anche se c’è una Luna piena ogni mese, questa rivisita lo stesso punto del cielo soltanto una volta ogni 19 anni.
Saint-Rémy late June1889
Saint-Rémy December, 1889
Saint-Rémy November-December, 1889